Prima di scrivere questo articolo ho chiesto a mio figlio Gabriele, 5 anni, alunno dell’ultimo anno di scuola materna, se per lui il colore rosa fosse un colore da femmina. “No mamma“, e poi ha aggiunto: “Perché me lo chiedi?“. La sua risposta ferma e puntuale, devo dire la verità, mi ha confortato e ha acceso nella mia mente un lume di speranza, infondendomi un senso fiducia e ottimismo nei confronti delle generazioni future. Allo stesso modo ho provato profondo sconforto e amarezza nel rileggere alcune notizie risalenti allo scorso inverno. Come ad esempio quelle relative a una vera e propria rivolta tra i poliziotti di alcune questure italiane. La polemica riguardava l’utilizzo di Ffp2 rosa da indossare durante il servizio, giudicati poco consoni e coerenti con la divisa
Vestire di rosa rende meno autorevoli?
Nella società in cui viviamo assistiamo purtroppo a una persistente dicotomia tra chi evidenzia la differenza tra i ruoli della donna e dell’uomo e coloro che invece lottano per colmare il gender gap, cercando di appianare le ancora troppo incisive differenze tra i generi, per sradicare certe convinzioni socio culturali limitate e stereotipate.
Davvero un poliziotto con la mascherina rosa può essere considerato meno maschile e, per illogica conseguenza, meno autorevole? Veramente il rosa viene associato al mondo femminile e, per la stessa insensata deduzione, ciò che è femminile risulta essere meno qualificato? Forse è giunto il momento di sradicare certe convinzioni socio culturali in tema di parità di genere. È il colore rosa a minare la propria credibilità o sono gli stereotipi di genere ad esso associati? Perchè una donna che vuole essere definita più credibile dal punto di vista professionale è spesso costretta a mascherare la propria femminilità. E perchè un uomo deve evitare di indossare indumenti rosa per non rischiare di provocare reazioni di ilarità?
Il rosa non è nato donna, lo è diventato
Quando è la società a imporre la percezione della realtà, a stabilire quali sono le regole ideologiche da seguire e definire in modo totalizzante le norme riguardo al genere, risulta poi difficile modificare la presa di coscienza del mondo che ci circonda. Basti pensare che il rosa non è nato donna, lo è diventato nel corso dei secoli. Oggi il rosa viene descritto come un colore delicato, femminile, quasi frivolo. Ma lo sapete che nell’Ottocento essendo più vicino al rosso, espressione di forza, virilità e doti militari, veniva raccomandato agli uomini, mentre il blu era associato al velo con cui veniva raffigurata tradizionalmente la Vergine Maria e per questo era ritenuto più appropriato alle donne.
Agli inizi del Novecento gli uomini iniziano ad indossare colori più scuri e legati al mondo degli affari, distinguendosi dalle tonalità chiare percepite più femminili e associate alla sfera domestica. Intorno agli anni Cinquanta il rosa diventa totalizzante nell’abbigliamento femminile, nei beni di consumo, negli elettrodomestici, nelle automobili e persino nei giocattoli. L’introduzione della bambola Barbie ha consolidato la percezione del rosa come colore puramente femminile, adatto alle bambine.
Chiediamolo ai nostri figli
Con l’espansione dei movimenti femministi e la rivendicazione del ruolo della donna nella società, il rosa viene fortemente criticato e messo in discussione. Ciò che veniva contestato era il suo significato discriminatorio, volto a sminuire le donne, e richiamando il mondo dell’infanzia le faceva figurare docili e passive. Le ideologie femministe degli anni Sessanta avevano come obiettivo comune quello di perseguire la libertà di indossare ciò che si desidera senza sentirsi in difetto, meno autorevoli o rispettabili, e con la consapevolezza che ognuno di noi è unico e ha il diritto di esprimersi come meglio crede.
Chiedete ai vostri figli cosa ne pensano del rosa, e se indosserebbero mai un indumento di questo colore. Se la loro risposta sarà affermativa, state certi, state facendo un ottimo lavoro.