E’ dal 1973 che “The Rocky Horror Picture Show” continua ad ammaliare intere generazioni di spettatori con la sua trasgressività e genuina sfacciataggine. Don’t dream it, be it, è un’intramontabile cult, uno degli spettacoli più amati ed applauditi al mondo, portatore di un messaggio universale: che cosa possiamo definire normale, e cosa invece non lo è? Perché abbiamo talmente tanta paura del giudizio altrui che non riusciamo ad essere veramente ciò e chi vogliamo?
La storia: una coppia “normale” incontra un travestito
Brad Majors e Janet Weiss, dopo aver partecipato a un matrimonio, decidono di sposarsi. Durante il viaggio per andare a trovare il loro ex professore, il Dottor Scott, si perdono e bucano una gomma. E’ già notte e scoppia un temporale, per cui la coppia decide di chiedere ospitalità presso un castello nelle vicinanze. E’ qui che fanno conoscenza con il proprietario, l’eccentrico travestito Dottor Frank-N-Furter, e i suoi strani domestici Riff Raff e Magenta. Frank-N-Furter invita la coppia ad assistere al suo ultimo esperimento: la creazione del suo uomo ideale, di nome Rocky. Da quel momento in poi la vita di Brad e Janet, insieme a quella degli spettatori, non sarà più la stessa!
Siamo a tratti stupiti e confusi dalla straordinaria stravaganza dello spettacolo, tra canzoni, balli, paillette e brillantini, ma in mezzo al trambusto riusciamo a percepire la triste atmosfera tra le parole della canzone “Sweet Travestite”: “Non farti turbare dal modo in cui appaio. Non giudicare un libro dalla copertina. Non sono un granché alla luce del giorno. Ma di notte sono un amante eccezionale. Sono soltanto un dolce travestito di Transexual, Transilvania”.
Chi rappresenta dunque la normalità? La coppia Brad e Janet, la coppia simbolo di ciò che ci si aspetta di essere, senza fronzoli, paillet, trasgressioni, o strane manie, oppure Frank-N-Furter, il dolce travestito fuori dagli schemi che non si lascia castrare dai limiti imposti della società e che esprime liberamente ciò che sente di essere? Esiste un modo di essere giusto e un modo di essere sbagliato oppure il concetto di normalità è universale e pura manifestazione della nostra esperienza soggettiva?
Quando la normalità è uno stereotipo comune
E se il concetto di normalità fosse stato creato e utilizzato solo per giudicare gli altri? Per voler contrastare in qualche modo la paura nei confronti del diverso, di colui che non rispetta i canoni imposti dalla società in cui viviamo, di chi non siamo abituati, per tradizione o cultura, ad includere nella nostra sfera di accettabilità? La normalità è riconducibile a uno stereotipo comune, come nella coppia Brad e Janet? O forse è soltanto dal riconoscimento e dalla valorizzazione della pluralità dei modi di agire e di essere che ogni individuo trova la piena espressione di sè?
Viviamo in una società che ci lascia davvero liberi di esprimere il nostro modo di essere, le nostre inclinazioni sessuali, le decisioni in merito al nostro corpo e alla nostra mente, la sfera religiosa e spirituale, oppure abbiamo paura di essere uccisi, come Frank-N-Furter, per il suo moralismo dissoluto?