Ricordo con dolcezza quando mia nonna materna mi disse che per un certo periodo della sua vita faceva la sarta: le venivano commissionati dei lavori che con passione e dedizione portava a termine in cambio di qualche soldo. Poi però ha iniziato ad occuparsi a tempo pieno della sua famiglia, a seguire i suoi tre figli e tutte le incombenze e gli impegni quotidiani. Non possedeva un conto corrente, non disponeva della libertà di decidere quanti soldi spendere per la spesa, per qualche vezzo personale, per le vacanze. Era incatenata in una divisione rigida e predeterminata dei ruoli familiari, per cui il sostentamento era prettamente a carico dell’uomo mentre era compito della donna prendersi cura della famiglia e della casa. Era umiliante per lei chiedere i soldi a mio nonno, lei che di soldi non ne poteva disporre liberamente.
E’ normale per una donna occuparsi esclusivamente dei figli?
Sono passati più di cinquant’anni da quando le nostre nonne simboleggiavano la personificazione del focolaio domestico, e ancora oggi aleggia una mentalità che stabilisce che sia normale che una mamma abbia il dovere principale di prendersi cura della propria famiglia, escludendo a priori qualsiasi scelta professionale. E’ lo Stato italiano che ci sta lasciando indietro, negandoci la possibilità di un’istruzione, di un futuro lavorativo, di una crescita personale o professionale, o siamo noi vittime consapevoli a cui piace sguazzare in un mare di scuse e giustificazioni?
E’ vero, la fatica che dobbiamo impiegare per farci strada nel mondo del lavoro è doppia rispetto a quella della controparte maschile. Dobbiamo combattere quotidianamente contro gli stereotipi di genere, il maschilismo, pregiudizi di ogni tipo, il senso di colpa, l’ inadeguatezza, la continua ricerca di un solido equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. E’ lo Stato italiano il colpevole assoluto, colui che prontamente ci nega un’istruzione, un lavoro, una libertà finanziaria e addirittura un conto corrente solo perché siamo donne e mamme? Oppure siamo noi le prime ad appoggiare e impersonare una cultura che ci limita e non ci rende autonome?
L’autonomia di una donna parte dal sua indipendenza economica.
I numeri parlano chiaro e sono lo specchio del nostro Paese: prendendo in considerazione la fascia di età tra 20 e 49 anni, nelle famiglie con un figlio a carico lavora l’83,5% degli uomini e solo il 55,2% delle donne. Il tasso di occupazione femminile scende poi ulteriormente tra le donne che vivono nel Sud Italia (32,5%), mentre cresce dal 27,9% al 29,3%, il tasso delle donne che non studia, non lavora e non segue percorsi di formazione.
Se è vero che l’autonomia e l’emancipazione di una donna parte da una solida base di indipendenza economica e si sviluppa sul terreno fertile dell’istruzione e della formazione, quali sono le motivazioni per cui in Italia ancora un così grande numero di donne si trova senza istruzione e senza lavoro?
Una scelta obbligata oppure un retaggio culturale difficile da abbattere?